(english below)
Perché le conversazioni? Per riflettere sul perché e come facciamo questa pratica. Il lavoro che facciamo qui è uno strumento (di conoscenza) che vi deve poter aiutare in un vostro percorso spirituale profondo e personale, e con queste conversazioni vogliamo: 1. Ricordarvelo 2. Darvi spunti per andare avanti.
Discernimento e il percorso de “La Via di Mezzo”
PERCHÉ PARLARE DI DISCERNIMENTO?
L’ispirazione è arrivata da Angela Jamison. Come sapete Angela ci ha lasciato un enorme bagaglio su cui riflettere: il racconto della sua esperienza di insegnante e di come gestisce la shala, il suo approccio durante le visite in altre scuole come la nostra, il supporto rispettoso e preciso che ci ha dato, la dedizione e la profondità di pensiero che ci ha trasmesso e gli aggiustamenti preziosi alle nostre pratiche - in questo senso la sua visita è stata un vero supporto nei nostri confronti. Inoltre ci ha colpito il fatto che Angela, alla luce dei suoi studi, ritenga che il fine ultimo dello yoga sia il ritrovarsi ad essere estremamente capaci di discernere. Questo mette sotto tutta un’altra luce il sutra 1.2: “Yogaś citta vr̥tti nirodaḥ”, che descrive lo yoga come arresto delle fluttuazioni della mente.
CHIARIAMO I TERMINI NEL LINGUAGGIO COMUNE
Cosa si intente con “discernimento” e come e perché è simile ma diverso dal “giudizio”?
Il discernimento è una conoscenza interiore che sorge da una verità genuina che cerca di tenere in considerazione posizioni contrastanti, ambiguità, contraddizioni. Il giudizio ha la pretesa di separare in modo netto giusto e sbagliato; si costruisce su un sistema prestabilito di “regole” astratte dalla realtà (leggi, pregiudizi…) ed è spesso strumentale a legittimare una posizione.
In qualche modo il giudizio nasce dalla paura di perdere il controllo e dalla volontà di mantenere una posizione di potere, mentre il discernimento condivide il potere e permette a posizioni contrastanti di essere altrettanto valide. Il discernimento avvalora le sfumature e le vie di mezzo, il giudizio gli estremi (giusto, sbagliato).
Inoltre, il giudizio ha come punto di partenza il confronto da una posizione di potere/superiorità, creando polarizzazione/contrasti e spesso alimentando l’ego (questo è bello o brutto). Il giudizio assume che la persona “giudicante” abbia una capacità tale da poter decidere cosa sia meglio o peggio. Il discernimento invece è una capacità cognitiva/intuitiva, è una conoscenza da cui traiamo esperienza diretta con chiarezza, è un approccio consapevole che ci aiuta a prendere le buone decisioni. Si potrebbe anche dire che è una pratica perché richiede presenza e imparzialità, accettazione radicale e perché no? Amore.
COSA CI DICONO I SUTRA A PROPOSITO?
(interpretazioni personali dai commentari di:
Swami Saraswati Satyananda, Vyasa, Swami Aranya Hariharananda e Swami Satchidananda)
Si potrebbe dire che il discernimento (viveka) è l’annullamento dell’ignoranza (avidya) secondo il Y.S 2.26 (viveka khyātir aviplavā hāno 'pāyaḥ). Il vivekhyati (consapevolezza reale) è un processo cognitivo che non si basa né sui sensi, né sull’intelletto, né su un senso di superiorità; bensì aiuta a realizzare la vera natura del purusha (mondo soggettivo) senza l’utilizzo del ragionamento comune. Attraverso di esso si ha accesso alla conoscenza “diretta” che otteniamo attraverso la natura o prakriti. Imparare dalla natura è osservare e così attraverso la pratica dello yoga, grazie alla continua osservazione di noi stessi impariamo a discernere e a non aggrapparci a quello che ci da o toglie la vita lasciandola passare attraverso di noi come si fosse uno spettacolo teatrale, senza tensioni.
Il lato “oscuro” del viveka. Il sutra 2.15 (pariṇāma tāpa saṁskāra duḥkhaiḥ guṇa-vṛtti-virodhācca duḥkham-eva sarvaṁ vivekinaḥ) ci parla di come tutte le esperienze siano dolorose alla luce del vero discernimento. Perché? Perché ogni esperienza rappresenta un cambiamento e quindi un’alterazione, da cui nascono: sofferenza per la perdita di uno stato anteriore; nuova impressione lasciata dal cambiamento. Lo stesso sutra ci dice che il discernimento ci darà la capacità di essere saggi e neutri nei confronti della sofferenza che sappiamo arriverà nel nostro percorso.
Entra dunque in gioco anche l’accettazione radicale e la liberazione dai desideri (vairagya) in quanto ci aiuta a convivere con questa capacità cognitiva di discernere accettando quello che ci accade in maniera pacifica e non sentimentale. Sutra 1.15 (dr̥ṣṭa-anuśravika-viṣaya-vitr̥ṣṇasya vaśīkāra-saṁjṇā vairāgyam): il vairagya (non attaccamento) rappresenta la liberazione dai desideri. È uno stato che non prevede necessariamente l’abbandono delle nostre azioni e doveri quotidiani quanto una rinuncia ai piaceri e alle avversioni che turbano il subconscio. Questo vorrebbe dire navigare la vita nella Via di Mezzo distaccandosi dagli effetti buoni e cattivi delle proprie azioni e quindi mantenendo una vita interiore sana a prescindere da quello che accade all’esterno.
COSA CI REGALA IL VIVEKA?
--> COMPRENSIONE che va oltre i pregiudizi, le opinioni, il contesto sociale e l’ego.
--> UMILTÀ perché ci porta ad accettare noi stessi e gli altri bilanciando la nostra confidenza con la realtà.
--> PERCEZIONE IMPARZIALE che ci porta a prendere delle decisioni senza sentirci migliori o peggiori degli altri. NON superiorità.
-->CHIAREZZA (s. 2.26), le non fluttuazioni delle mente portano all’annullamento dell’ignoranza, portandoci nello stato di chiarezza.
LA “VIA DI MEZZO”
Approfondendo la questione del discernimento ci siamo imbattuti nel concetto di “via di mezzo”, caro alla filosofia buddhista, e crediamo che sia interessante riproporvelo per ragionare assieme su come la pratica della via di mezzo possa aiutarci ad affinare il nostro discernimento e a sua volta farne strumento per andare avanti nel percorso verso l’eliminazione della sofferenza (che alla fine, per molti aspetti, combacia con l’eliminazione del Citta Vritti).
Innanzitutto: la via di mezzo non significa “mediocrità”. Va intesa in due modi:
A. come ricerca del giusto equilibrio tra due estremi per proseguire nel percorso. In questo senso prendiamo ad esempio la pratica fisica dell’ashtanga yoga. Dobbiamo usare il nostro discernimento per mettere il giusto sforzo nella pratica degli asana così da crescere in forza/equilibrio/precisione; ovvero se pratichiamo senza sforzo (estremo 1) difficilmente faremo progressi e analogamente se pratichiamo con eccessivo sforzo (estremo 2) rischiamo di giungere un “punto di rottura”, un cedimento energetico e fisico.
B. Si può intendere con via di mezzo l’eliminazione, il taglio nel mezzo, l’attraversamento, di quelle questioni che ci possono distrarre e che non contribuiscono al nostro progresso. Ad esempio, nella pratica: spendere la propria attenzione sull’abbinamento di leggins e maglietta da indossare oppure soffermarsi su quello che fanno gli altri creando nella nostra mente paragoni e micro discorsi che ci distolgono da quello che stiamo facendo. E quindi si taglia nel mezzo eliminando ogni questione che possa distrarci dal nostro scopo più alto.
Tutto questo (A e B), più in generale, è valido anche nel percorso spirituale e nella ricerca del giusto equilibrio tra “appagamento” (piacere, es. mi concedo questo o quest’altro piacere) e “restrizione” (dolore, non mi concedo questo o quello, resisto a questa/quella “tentazione” che in fin dei conti riconosco non mi potrà aiutare ad avanzare nel mio percorso spirituale).
Per fare tutto ciò c’è bisogno di discernimento e allo stesso modo “praticare la via di mezzo” ovvero domandarsi ogni volta (senza indugiare eccessivamente – possiamo sbagliare! Meglio sbagliare che non fare niente!):
A. Qual è “il giusto compromesso” tra due estremi in una decisione?
B. Quali domande e questioni non vale la pena di porsi perché sono “perdite di tempo” e non contribuiscono al nostro miglioramento personale?
(doppio click)
Solo noi sappiamo qual è “il giusto compromesso”, non è per forza la metà “matematica” ma dobbiamo relazionarlo al nostro caso personale e al momento specifico del nostro percorso in cui ci si presenta la scelta in questione. Alcune volte l’appagamento può essere funzionale al miglioramento, altre può essere un ostacolo e al contrario una “sana sofferenza” può rafforzarci donandoci ispirazione e punti di vista utili. Quello che fa di un piacere un piacere sano e non un vizio è lo scopo che sottende l’appagamento. Se ci appaghiamo per darci supporto nel miglioramento personale questo è positivo. Attenzione a non accomodarci troppo in questo: le difficoltà ci fanno altrettanto bene! Non abbandonatevi né al “premiarvi” né “al punirvi” come regola, cercate la giusta via di mezzo.
(doppio click)
In altre parole:
A. è la ricerca della MODERAZIONE e B. è la messa in atto dell’ATTENZIONE APPROPRIATA.
DISCERNIMENTO ATTRAVERSO LA VIA DI MEZZO
Cosa si fa dell’esperienza della via di mezzo?
Col tempo ne deriva una capacità maggiore di discernimento, ovvero ci troveremo in grado di soppesare i diversi elementi (e gli estremi) che stanno dietro alle nostre scelte e capire dove posizionare l’ago della bilancia per completare la nostra valutazione.
Analogamente l’esperienza ci aiuterà ad indirizzare in maniera più efficiente la nostra attenzione, aiutandoci a distinguere quello che davvero servirà al nostro percorso… normalmente siamo confusi e fatichiamo a fare questa discriminazione. Quando dubitiamo chiediamoci “a cosa mi serve riflettere su questo? Mi aiuta a trovare equilibrio? Mi aiuta a capire la sofferenza? Mi aiuta a capire come abbandonarne le cause e come realizzarne la cessazione? … anche se non trovate subito una risposta a queste domande, soltanto porvele e rifletterci con continuità darà il suo contributo.
La comprensione de la “via di mezzo” non può essere risolta attraverso il pensiero astratto, ma affrontando dettagliatamente gli alti e i bassi che troviamo nelle nostre menti sia nei momenti in cui la sofferenza viene creata, sia nello sviluppo del percorso che porta all’eradicazione di quella stessa sofferenza. La sfida di trovare le tante “metà” della “via di mezzo” – che spesso vuol dire forare il centro di un bersaglio che si sposta irregolarmente – allena e affina il nostro discernimento in modo tale di trovare la fine della sofferenza là dove è più importante: non nell’astratto ma nel profondo del proprio cuore.
LA PRATICA: UNA SOLUZIONE PALPABILE E RADICALE
Quello che più importante, per finire, è l’impegno che mettiamo in questo percorso. Solo se siamo radicalmente impegnati nello sviluppare uno stato mentale equilibrato potremo trarre i frutti dei nostri sforzi e irradiarli al di fuori di noi.
Così la via di mezzo e il discernimento diventano due pratiche che si e ci tengono per mano nel percorrere i nostri cammini spirituali. E, come la pratica sul materassino, questi due alleati avranno bisogno della vostra presenza, di impegno e dedizione, nella giusta misura.
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Why these talks? For us to ponder around why and how we do this practice. The work we are carrying out here becomes an instrument (of knowledge) that has to be helpful to our own personal and spiritual path. With these we want to: 1. Remind you of this 2. Give you cues to keep on going.
Discernment and“The Middle Way”
WHY DISCERNMENT?
We were inspired by Angela to reflect around this matter. As you all know she left us with a big pile of information to think about: her story and experience as a teacher in her shala, her approach to “on the road” visits to other shalas like ours, her respectful and precise support towards us, the dedication and deepness of thought she gifted us with and her precious adjustments. Her visit was a real back up for us. Moreover, we were captivated by what Angela has come to believe, thanks to her studies, is the real goal of yoga: to be able to discern. This has put the sutra 1.2: “Yogaś citta vr̥tti nirodah”, which describes yoga as the unceasing of the mind fluctuations, under a different light.
LET’S CLARIFY SOME TERMS IN COMMON LANGUAGE
What is “discernment” and how and why is similar but different to “judgement”?
Discernment is internal knowledge which source lies on a genuine truth that aims to take in consideration contrasting positions, ambiguity, contradictions. Judgment, on the other hand, claims to separate neatly right and wrong; it is built around a fixed system of “rules” which are abstract (laws and prejudices…) and that are often used to justify a personal statement.
Somehow judgement arises from the fear of losing control and from the will to maintain a position of power, whereas discernment shares the same power while allowing contrasting ideas to co-exist validly. Discernment validates nuances and middle ways, judgment reinforces extremes (right/wrong).
Furthermore, judgement has as starting point comparison from a superior point of view, polarising and feeding the ego (e.g. this is pretty or ugly). Judgement assumes the “judging” person to have such an ability that she/he can decide what’s best or worst. As opposed, discernment becomes a cognitive/intuitive ability, it is knowledge from which we draw direct experience with clarity; it is a conscious approach that helps us with good decision making. We could also say that it is a practice because it requires presence and equanimity, radical acceptance and, why not? love.
WHAT DO THE SUTRAS HAVE TO SAY ON THIS?
(personal interpretations from the comments written by:
Swami Saraswati Satyananda, Vyasa, Swami Aranya Hariharananda e Swami Satchidananda)
One could say that discernment (viveka) is the reversal of ignorance (avidya) according to the Y.S. 2.26 (viveka khyātir aviplavā hāno 'pāyaḥ). Vivekhyati (real discrimination) is a cognitive process that is not based on our felt senses, nor on our intellect, nor on a superiority feeling; it rather helps us to realize the real nature of purusha (subjective world) without calling out on common reasoning. Through this we get access to “direct” knowledge which we draw from nature or prakriti. This is why we need to build a bridge between nature and our practice as we learn to observe what surrounds us while learning to observe ourselves in the mat; ultimately we learn to allow life pass through us and become observers, like in the theater.
There is a “dark” side of this viveka force. Y.S. 2.15 (pariṇāma tāpa saṁskāra duḥkhaiḥ guṇa-vṛtti-virodhācca duḥkham-eva sarvaṁ vivekinaḥ) will warn us on how any experience is potentially painful through the prism of real discernment. Why? Because any experience will bring change and thus an alteration that
- will create suffering because of the loss of the precedent state;
- will leave a new impression to work on.
The same sutra (2.15) also highlights the possibility of overcoming this suffering thanks to viveka which will keep us wise and neutral when confronting the “painful” moments that we know, beforehand, will arise.
This is when radical acceptance and freedom from desire (vairagya) comes into play as it will allow us to live with this cognitive ability while accepting whatever happens to us in a peaceful way. Sutra 1.15 (dr̥ṣṭa-anuśravika-viṣaya-vitr̥ṣṇasya vaśīkāra-saṁjṇā vairāgyam): vairagya (non-attachment) represents freedom from desire. It is a state that does not necessarily imply the abandonment of our mundane actions and daily duties; it is more about giving up all total pleasures and all total dislikes that disrupt our subconcious. This might mean navigating through a life in the Middle Way, breaking away from good or bad effects coming from our own actions. Hence, keeping a sane internal life in spite of whatever takes place on the outside.
WHAT ARE WE GETTING FROM VIVEKA?
--> COMPRENHENSION that goes beyond prejudice, opinion, social context and ego
--> HUMBLENESS that allow us to accept ourselves and the others while finding the balance between our confidence and reality.
--> IMPARTIAL PERCEPTION that helps us on decision making without making us feel better or worse than the others. We overcome any sense of superiority.
--> CLARITY (s. 2.26), a non-fluctuating mind will erase the ignorance blessing us with clarity.
THE “MIDDLE WAY”
Going deep into the idea of discernment we tapped into buddhism’s “middle way”and we found it interesting to put it out here for us to think over on how the middle way practice could help to refine our discernment while making of it another tool that could aid the “eliminating of suffering” (which at the end, for many reasons, matches with the elimination of the “citta vrtti”).
First of all: middle way does not mean “mediocrity”. It can be understood in two ways (Thanissaro Bhikkhu explains it this way):
A. as the quest to find the right balance between two extremes. Let’s apply this to our ashtanga practice: we need to use our discernment in order to find the right amount of effort needed on our asana practice to allow us to grow with strength/balance/precision; namely, if we practice with no effort (extreme 1) we will hardly “progress” and likewise, if we practice with too much effort (extreme 2) there is a risk that we will reach a “breaking point”, an energetic or physical breakdown.
B. the middle way can also be known by the elimination, the cutting through the middle or the breaking through those concerns that potentially distract us or obstruct our way. For example, practice related: wasting our attention around our leggings/t-shirt combination or taking glimpses of what others do create benchmarks and internal micro-discourses that hide us from what we are trying to focus on. So, we cut through the middle by removing any matter that becomes an obstacle to the “higher” goal.
What mentioned above (A and B), more broadly, is valid through the whole spiritual path and useful to serve the finding of the right balance between “gratification” (pleasure) and “restriction” (pain).
Two questions to keep in mind while practicing the “middle way” (without lingering excessively, we can make mistakes. Better to make them instead of refraining from action):
A. Which is the “fair compromise” between two extremes when making a decision?
B. What are the questions and matters that are unworthy of our attention as they do not serve to our own spiritual path?
(double click)
It is up to us and only us to find out the “right compromise”, it won’t be necessarily the mathematical half, we need to relate this balance to our personal case and specific moment. Sometimes “gratification” can be functional towards some improving, others some sane “pain” might reinforce us and inspire us. What makes out of a pleasure a vice is the intent behind it: if we fulfill ourselves to support our own improvement then so be it. Attention not to take our seats while doing so: difficulties will help us too! Don’t abandon yourselves to “prizes” nor to “punishments”, find the proper middle in between the middles.
(double click)
In other words:
A. is the quest for MODERATION and B. implies applying the RIGHT ATTENTION.
DISCERNMENT THROUGH THE MIDDLE WAY
What do we extract from the middle way experience?
With time, more discernment will come from it, meaning that we will find ourselves more capable of pondering different elements (the extremes) behind our choices to eventually figure out where to place the deciding vote to complete our evaluation.
Accordingly, experience will help us to address more efficiently our attention making it easier for us to really see the useful things that we need throughout out path… we are more likely to be confused and struggle to discriminate. When in doubt, we should ask ourselves “is it helpful to think about this?”,“does it support my balance?”.“does aid figuring out suffering and how to stop it?... even if you can’t answer to these immediately only by questioning and taking a breath around these, you will find yourself on your way to changing.
We can’t reduce the understanding the “middle way”to mere abstract thinking. Instead, we have to face in detail the ups and downs created by our minds during suffering moments and during the eradication of that same suffering. The challenge in finding all the “middles” of the “middle way”- which often means piercing a dartboard that constantly moves - trains and refines our discernment in a way that offers us the ending of suffering where is more important: in the depths of our hearts.
THE PRACTICE: A TANGIBLE AND RADICAL SOLUTION
Finally, and to end this talk hopefully in time, what counts is our commitment to the path. Only if we are radically engaged in developing a balanced mindset we will be able to harvest the fruits of our efforts and to irradiate them outside of our bodies.
Thus, middle way and discernment become practices that walk together by the hand through our spiritual whereabouts. And, similar to the practice that takes place in our mats, these two allies will need our presence, commitment and dedication, in due measure.
© Giacomo Coppo e Amanda Marquez
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